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Cinema e filosofia

Quaderni della ginestra                                         n° 21, anno 2017/2

«BELIEF IN THE EXISTENCE OF OTHER HUMAN BEINGS AS SUCH IS LOVE». THE INDIVIDUALITY AND REALITY OF PERSONS IN ANDREI TARKOVSKY’S SOLARIS

The word ‘virtual’ acquired the sense of «not physically existing but made to appear by software» already in the 1950’s when the first advances in computer technology were made. Yet, compared to the 1950’s and to the clumsy fantasies of virtual reality technology in the 1980’s and 1990’s, it is only in our present age when virtual simulation of events and things, up to the presence of the other person, has become a real possibility. While those born in the 1980’s and earlier might still remember a time when ‘xeroxation’ implied a diminishing of quality in the case of the copy and hence an antagonism between the copy and the original, today the promise of digital technology seems to be something of the opposite: everything can be imitated, simulated and made to appear, to the extent that a qualitative distinction between the copy and the original is becoming obsolete.

di JAAKKO VUORI

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Quaderni della ginestra                                         n° 19, anno 2016/3

THE FATHERS ARE BACK – AND THIS TIME AS AN ANTICAPITALIST FORCE? SOME CONSIDERATIONS ON MAREN ADE’S TONY ERDMANN.

European modernity, and maybe not only, can be depicted as the story of a progressive emancipation from the Father. Enlightenment has been often conceptualized as a titanic struggle against a threefold Patriarchal order, namely against the “holy alliance” of three powerful fathers – God, the Sovereign and the Pater Familias – that oppress individuals and prevent their rational capacities to unfold. And what do the French Revolution’s values of liberté, égalité and fraternité represent if not the claim to equality between brothers (and, if possible, sisters) liberated from any authority except their own?.

di FEDERICA GREGORATTO

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Quaderni della ginestra                                         n° 17, anno 2016/1

LA FORZA PERSUASIVA DELLE TEORIE DEL COMPLOTTO.

Le descrizioni e le interpretazioni cospirazioniste del mondo non sono certamente appannaggio esclusivo della società contemporanea: la pubblicazione dei Protocolli dei Savi di Sion, i processi per stregoneria o il cesaricidio ebbero luogo ben prima che Karl Popper utilizzasse l’espressione conspiracy theory of society per riferirsi alla «convinzione che la spiegazione di un fenomeno sociale consista nella scoperta degli uomini o dei gruppi che sono interessati al verificarsi di tale fenomeno (talvolta si tratta di un interesse nascosto che dev’essere prima rivelato) e che hanno progettato e congiurato per promuoverlo».

di ROBERTA MARTINA ZAGARELLA

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ENEMY

Un uomo entra in una stanza. Una donna nuda schiaccia un ragno. Diversi uomini la guardano. Inizia con un enigma, il riflesso di una scena orgiastica che ricorda l’ultimo Kubrick (Eyes wide Shut), Enemy, adattamento cinematografico – prosciugato – del romanzo di José Saramago L’uomo duplicato. Nelle mani di Villeneuve il materiale letterario dello scrittore portoghese è condensato in un thriller psicologico ansiogeno, un gioco di scatole cinesi che lascia spazio al dubbio e al caos.

di SOFIA BONICALZI

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Quaderni della ginestra                                         n° 16, anno 2015/3

ASCETISM IN THE FILMS OF RUBEN ÖSTLUND

Asceticism, the act of self-deprivation, has from time to time been applied as an artistic principle by film makers. In Scandinavian cinema, the idea has been present from Dreyer to Dogme 95, and most recently in the cinema of Swedish Ruben Östlund. A non-cinephile extreme sports photographer turned arthouse favorite, Östlund has an elaborated ontological and technical approach to the idea of parsimonious expression and developed this idea in films such as De ofrivilliga (2008), Play (2011) and Force majeure (2014). In short the approach consists in the act of carefully limiting one’s artistic tools to a minimum, imposing a harsh set of rules to abide by in one’s craft. What are the means and goals of asceticism in cinema when the idea is divorced from its religious/spiritual origin? Why does the artist become an ascetic?

di OLIVER BLOMQVIST

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GONE GIRL

Gone Girl è l’ultimo film diretto da David Fincher, trasposizione dell’omonimo romanzo di Gillian Flynn. In queste pagine, parleremo di come il rapporto di coppia uomo-donna, e quello fra marito-moglie, siano rappresentati nel film attraverso strategie, vendette, ricatti. Vedremo com’è questa nuova famiglia americana, giovane e famosa, che il film mette in scena.Parleremo del potere della messa in scena: la capacità di fingere, di recitare. Una dote utile per cavarsela in ogni situazione, in particolare di fronte all’obiettivo di una telecamera che influenza lo stato d’animo dell’opinione pubblica. Parleremo di mass-media e della caratteristica che contraddistingue questi personaggi: la consapevolezza.

di ANDREA FERRI

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Quaderni della ginestra                                         n° 14, anno 2015/1

DISCORSO, VIOLENZA, POTERE: CHANGELING

Una vicenda realmente accaduta: la scomparsa di un bambino e la lotta tra due verità contrastanti. Christine Collins si reca alla stazione ferroviaria convinta che la polizia abbia ritrovato suo figlio, sparito cinque mesi prima. Dal treno, però, scende un bambino che la donna non riconosce. «Questo non è mio figlio», dice al capitano della polizia J. J. Jones. Il poliziotto la rassicura, lei è sotto choc e il ragazzo ha passato dei mesi terribili, è smagrito ed è cambiato: «Glielo assicuro, glielo giuro, le do la mia parola, questo è suo figlio». Per di più, quando lo interpellano, il bambino afferma di essere proprio Walter Collins, il figlio di Christine. Christine è certa che quel ragazzo non sia Walter, eppure dubita di se stessa e della propria lucidità fino a lasciarsi persuadere dal capitano Jones a portare a casa con sé il bambino.

di ROBERTA MARTINA ZAGARELLA

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LA REALTÀ OLTRE LA SUA DURATAAll’ultimo piano della Tokio Tower, Wim Wenders interroga Werner Herzog sulla natura del suo lavoro cinematografico. La telecamera inquadra la folla di edifici che confusamente delineano lo skyline della metropoli giapponese, mentre i visitatori dell’osservatorio ammirano la città dall’alto con i cannocchiali direzionati verso lo scenario futuristico di strade e grattacieli. È il 1985, Herzog da più di vent’anni rincorre non il sogno, bensì l’urgenza reale di un’immagine pura che non sia neutra e cristallina ma che trasferisca nella sua purezza un’immagine fedele del mondo, l’impronta seppur insignificante e passeggera della nostra civiltà e della nostra profonda voce interiore.di CLIO NICASTRO

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Quaderni della ginestra                                         n° 13, anno 2014/3
VIEWERS TURNED INTO PARTECIPANTS: DZIGA VERTOV’S A SIXTH PART OF THE WORLD

“The complete victory of the factory of facts over the factory of grimaces – that is what I expect from A Sixth Part of the World.” In these words Dziga Vertov, the Soviet Russian avant-garde filmmaker, refers to his new production in an interview for Kino magazine in August 17, 1926. By saying this, Vertov reiterates his ambition to reinvent the very concept of cinema. In order for cinema to become active part in the process of creation of a new socialist society, it had to be radically cut off from theatre and literature. This meant that everything that belonged to film as fiction – the plot, the sets, the actors, and the script – was to be rejected by Vertov and his collaborators.

di TATJANA SHEPLYAKOVA

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UPSTREAM COLORIl Ladro (the Thief) assale Kris di notte, all’uscita di un Club. Le fa ingerire una droga che contiene un esemplare vivo di nematoda, un verme cilindrico infestante estratto dalle sue speciali orchidee blu. Il Ladro sfrutta la suggestione ipnotica prodotta dalla droga per esercitare una forma di controllo mentale sull’esistenza di Kris. La deruba e vive da lei per qualche giorno, distraendola con elaborati espedienti. Privata di ogni cibo solido, Kris ricopia su foglietti di carta, poi piegati e incollati in modo che formino una ghirlanda ad anelli, le pagine del Walden di Henry David Thoreau. Risvegliandosi nel proprio letto, ormai sola, Kris osserva una serie di corpi estranei che si muovono sotto la superficie della sua pelle. Dopo aver cercato vanamente di rimuoverli, autoinfliggendosi ferite con un coltello da cucina, è irresistibilmente ricondotta verso una fattoria fuori città.di SOFIA BONICALZI

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Quaderni della ginestra                                         n° 11, anno 2014/1
TONY MANERO

Santiago del Cile, 1979. Raúl Peralta aggiusta un paio di pantaloni immacolati cui manca, forse, un bottone. Qualche giorno prima, con la stessa meticolosa apatia, uccide una donna per rubarle il televisore. Qualche giorno dopo, quando un losco ricettatore si mostra restio a concludere un affare, gli fracassa il cranio nel sonno. A cinquantadue anni, ha un unico mantra: trasformarsi nell’omologo del personaggio interpretato da John Travolta ne La Febbre del Sabato Sera (1977). “Questo”, risponde impassibile a chi gli chiede quale sia la sua professione. Rintanato in un teatro-night club di periferia, Raúl prova e riprova le coreografie del musical campione d’incassi in vista di un’imminente performance e, nel frattempo, si prepara a partecipare a un contest televisivo che eleggerà il Tony Manero cileno.

di SOFIA BONICALZI

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STILL LIFE
I funerali si fanno per i vivi. Il senso ultimo di Still Life ci viene dato dal personaggio più indesiderato del film: l’anonimo direttore municipale, allegoria dell’ottuso burocrate che, nell’ atto di rendere più efficienti i servizi funerari, nega un servizio vitale in cambio di un bilancio ben consolidato.A fare le spese di tale religiosa dedizione all’economia è, oltre al civile rispetto per i defunti, John May, orfano di mezza età, cullato nella materna ricorsività della sua singolare funzione, la ricerca dei famigliari delle persone morte in solitudine. Mansione insolita svolta dal solerte impiegato in modo unico: infatti May non si limita a reperire le generalità del defunto e dei rispettivi congiunti, ma si spende nella metodica ricostruzione della vita dei propri utenti, o quantomeno di qualche episodio verosimile da poter inserire nell’elogio funebre. di FRANCESCO MAZZOLI

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Quaderni della ginestra                                         n° 10, anno 2013/3
HOLY MOTORS

Il logico e filosofo polacco Alfred Tarski sviluppò la propria teoria semantica della verità nel tentativo di risolvere una delle più celebri antinomie della storia della filosofia: quella del mentitore. La struttura del paradosso è molto semplice. Qual è il valore di verità di un enunciato quale “Io sto mentendo”? È vero o falso? Quale che sia la risposta, “io sto mentendo” sembra esprimere una proposizione auto contraddittoria. Infatti se l’enunciato è vero, allora affermo la verità del fatto che quanto sostengo è falso. Se l’enunciato è falso, significa che sto dicendo la verità e che dunque, de facto, non sto mentendo. In altre parole, nel  momento in cui affermo di non fare un’affermazione vera, nego anche la verità di quanto affermo. L’insolubilità del paradosso è però  solo apparente. Il cortocircuito semantico che abbiamo appena esaminato  è spiegabile, secondo Tarski, nella misura in cui si comprende che esso è determinato dal carattere autoreferenziale dell’enunciato in questione.

di CORRADO PIRODDI

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LA RIVOLUZIONE INIZIA IN CAMERA DA LETTO? IL DISCORSO SULLA FAMIGLIA NELLA TRILOGIA DI BERNARDO BERTOLUCCI
L’ultimo lavoro di Bernardo Bertolucci, Io e te (2012), è un autentico Bertolucci: meno opulento forse di precedenti fatiche, ma l’impudenza della macchina da presa che spia dal “buco della porta dei tuoi genitori” (come dice Matthew, in The Dreamers) per penetrare una scabrosa sur- (o sub-) realtà, più veritiera della realtà stessa, rivela inconfondibilmente la firma del regista parmigiano. Tipicamente bertolucciana è anzitutto la struttura spaziale di Io e te, costruita secondo l’asse interno/esterno – dove l’interno corrisponde all’intimità della vecchia, grande casa borghese, un labirinto di cunicoli e anfratti in cui si accumulano oggetti, mobili coperti da teli, tubi, materassi e divani che nascondono colpevoli erotismi, e l’esterno è la strada dove alla fine i protagonisti sono costretti a scendere se vogliono sperimentare (e risolvere) pubblicamente i loro confitti.di FEDERICA GREGORATTO

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Quaderni della ginestra                                         n° 9, anno 2013/2
THE MASTER

Paura rispecchiata negli occhi, un uomo trincerato dietro una feritoia ed un elmetto. Questo e nulla più è Freddie Quell all’inizio di The Master, quindicesima pellicola diretta da Paul Thomas Anderson.È il 15 agosto 1945, finisce la seconda guerra mondiale, così recitano  i libri di storia ma, per il marinaio scelto Freddie Quell, archetipo di un’umanità nevrotizzata dalla paura, la realtà è drammaticamente diversa. Quando gli altoparlanti dell’incrociatore annunciano la resa del Giappone, Freddie celebra l’armistizio ubriacandosi con propellente per siluri e sfogando il proprio eros su di una statua di sabbia dalle fattezze femminili, immagine eloquente nel tratteggiare le mutilazioni spirituali incarnate del protagonista. Freddie guida quel plotone di reduci che, disciplinatamente, anima le corsie degli ospedali psichiatrici, si sottopone alla puntuale somministrazione di test e pillole, per venire meccanicamente reimmessi nella società con l’invito a rifarsi un’esistenza civile, come impiegati o come agricoltori.

di FRANCESCO MAZZOLI

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BLACK MIRRORÈ sempre vero che il regno della tecnica libera l’uomo dal giogo della necessità naturale? Oppure «la terra interamente illuminata splende all’insegna di una trionfale sventura»,  allorché tecniche e saperi si rovesciano dialetticamente in strumenti di soggiogamento e subordinazione ancora più stringenti dei vincoli naturali?Nell’affrontare questo tema, cinema, filosofia e letteratura sembrano aver episodicamente condiviso uno spirito euristico e un immaginario comune, che potremmo prosaicamente definire  “cyberpunk”. Il successo planetario di Matrix è quello del demone di Cartesio e dei cervelli in una vasca di Putnam. I dispositivi del biopotere descritti da Foucault si presentano vivi e materici negli innesti meccanici che affondano nelle carni dei personaggi dei film di Cronenbergh. Il test di Voigt-Kampff che, in Blade Runner, permette agli esseri umani di smascherare i replicanti, è una traslitterazione cinematografica dell’esperimento mentale ideato da Turing per capire se le macchine possiedano o meno stati mentali.di CORRADO PIRODDI

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Quaderni della ginestra                                         n° 7, anno 2012/3
UN ALTRO MITO DELLA CAVERNA: LA FORZA DELLA LEGGE IN BATMAN

I migliori blockbuster hollywoodiani sono quelli che contengono pregnanti raffigurazioni e diagnosi del nostro tempo storico, sociale e politico. La trilogia di Christopher Nolan dedicata alla leggenda di Batman, e in particolare il suo capitolo conclusivo, può confermare di certo questa tesi. Il momento centrale di The Dark Knight Rises, quando tutti i prigionieri sono liberati e si apprestano a “prendersi la città”, metterebbe addirittura in scena, secondo Zizek, potenzialità e debolezze del movimento noto come Occupy Wall Street. Il suo leader, qui, è il terrorista Bane (caricatura di un black bloc sadomaso, ma anche inguaribile romantico), che rende esplicita questa idea di autodeterminazione democratica all’interno di uno stadio sportivo gremito.

di FEDERICA GREGORATTO

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Quaderni della ginestra                                         n° 6, anno 2012/2
COSMOPOLIS

In principio era il verbo, in conclusione è il flusso. L’ultima opera di David Cronenberg ci trasporta all’interno del flusso immateriale, dei dati, del cyber capitale, del destino dell’umanità che, come scrive DeLillo, è deciso un nanosecondo dopo l’altro. Il regista canadese, con A dangerous method, aveva già rivolto la sua attenzione alla mutazione apportata all’essere umano dalla psicanalisi a inizio Novecento. Allora fu proprio grazie al verbo che l’uomo cominciò a esplorare la propria interiorità che, nonostante le precedenti passioni di Cronenberg, non è fatta solo di organi e interiora. Cosmopolis, a livello di script, sembra intraprendere la stessa strada, fatta di lunghi dialoghi che immobilizzano volutamente l’azione, anche se il tipo di uomo rappresentato, e la società che egli alimenta, sono l’ennesima evoluzione all’interno della filmografia cronenberghiana. Senza dimenticare che il film, e quasi tutte le battute dei personaggi, provengono dal romanzo di DeLillo, è interessante cercare di capire su quali binari intende portarci Cosmopolis.

di ANDREA FERRI

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SHAME
L’acquoso flirt di sguardi, ambientato in una metropolitana, tra il protagonista Brandon (Michael Fassbender) e una bella signora, capelli rossi e anello di fidanzamento al dito, segna la fine del secondo lungometraggio del regista inglese. Una fine che, chiudendo un cerchio asfissiante come l’aria in quel vagone della metro, ci riporta al punto di partenza: dopo tutto ciò che è successo nel film – non molto in realtà, storie di ordinaria follia newyorkese, qualche torbida avventura sessuale, una rissa, il tentato omicidio della sorella Sissy (la sensualissima Carey Mulligan) – Brandon non si è spostato di un millimetro. Niente ci fa presumere che qualcosa cambierà nella sua routine, che si divide tra un lavoro ben pagato ma come tanti, i Martini, sveltine poco soddisfacenti, stremanti corse notturne per impedirsi di pensare.L’immobilismo esistenziale di Brendon si può rendere efficacemente, per usare il vocabolario della filosofia sociale contemporanea di matrice hegeliana, come blocco di un processo individuale di apprendimento, uno scacco dell’esperienza, dove il soggetto non riesce ad appropriarsi dei suoi vissuti in modo da mettere in discussione e trasformare la propria identità.

di FEDERICA GREGORATTO

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Quaderni della ginestra                                         n° 5, anno 2012/1
MELANCHOLIA

Con il suo ultimo lavoro, Melancholia (2011), Lars von Trier ci ha indubbiamente sorpresi. Per una volta sembra essere disposto a tendere una mano compiacente al suo pubblico, quasi a vezzeggiarlo: con personaggi femminili a testa alta, un tema che si confà a un momento storico di crisi profonda, e una fotografia così seducente da sfiorare, a volte, la patinatura da riviste di moda. Addirittura, il regista danese concede allo spettatore il punto di vista dell’assoluto, issandosi sul quale la macchina da presa si arroga il diritto di rappresentare l’esperienza del sublime più radicale, il non rappresentabile per eccellenza, la fine del mondo. Perdonandogli una tale pretesa ultra-metafisica – ma ci si potrebbe chiedere se il cinema non stia aprendo oggi le porte di un’era post-post-metafisica, si pensi ovviamente anche a The Tree of Life –, bisogna ammettere che l’operazione del regista danese è di una geniale semplicità.

di FEDERICA GREGORATTO

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ANOTHER EARTHCosa faresti se avessi la possibilità di incontrare un altro te stesso? Come lo giudicheresti? Cosa penserebbe lui di te? Sono queste alcune delle domande che Mike Cahill intende suggerire attraverso la pellicola Another Earth, riuscendo nella difficile alchimia di miscelare due generi tra loro distanti, ovvero esplorando attraverso la fantascienza temi esistenziali. In effetti la chiave fantastica funziona da pretesto per innescare lo sviluppo drammatico di una vicenda che vedrà i due protagonisti esplorare le profondità del proprio spirito. L’apparizione di un pianeta gemello al nostro, Terra 2, non solleva questioni di fisica celeste, né tanto meno sinistre xenofobie da invasione aliena; diversamente funziona come un generatore perpetuo di dubbi filosofici ed esistenziali. Analogamente al pianeta Solaris, raccontato da Tarkovsky, Terra 2 è uno specchio in cui i personaggi riflettono i propri desideri e le proprie ossessioni ed in cui, attraverso l’immagine dell’altro, incontrano sè stessi. La scoperta dell’altro da sé è quindi metaforizzata come un viaggio nell’ignoto, verso un altro pianeta, in cui le rappresentazioni individuali vengono infrante per lasciare posto ad un nuovo orizzonte degli eventi.

di FRANCESCO MAZZOLI

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Quaderni della ginestra                                         n° 4, anno 2011/3
WITTGENSTEINMarziano: “Quante dita ha un filosofo?”Wittgenstein: “10”Marziano: “come tutti gli esseri umani”Wittgenstein: “ma un filosofo è un essere umano”

Questo beffardo scambio di battute riassume alla perfezione l’indole e lo stile del ritratto visivamente lussureggiante dipinto da Derek Jarman per raccontare la vita del filosofo viennese Ludwig Wittgenstein.Il biopic tessuto da Jarman si sviluppa attraverso una concatenazione di episodi teatrali che toccano i punti di svolta della vita, ancora prima che del pensiero, dell’eccentrico filosofo viennese, quasi a suggerire come l’esperienza dell’uomo preceda sempre e comunque l’opera del filosofo.

di FRANCESCO MAZZOLI

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DOGTOOTHDogtooth è la storia di una coppia di mezza età appesantita e benestante – lui piccolo imprenditore con Mercedes 200 d’ordinanza, lei placida casalinga dedita alla cura del focolare domestico –che abita in una villa solitaria: due piani di pareti che trasfigurano il sole mediterraneo in un biancore accecante, stanze arredate secondo i dettami del Feng Shui, porte in vetro scorrevoli che si aprono su un florido giardino punteggiato di palme e alberi da frutto. Un vero e proprio Eden, degno delle pagine migliori di Architectural DigestDogtooth è la storia di una coppia di mezza età appesantita e benestante e dei suoi tre figli: la figlia maggiore, quella minore, il figlio maschio nel mezzo. Viaggiano tutti e tre sulla ventina.

di CORRADO PIRODDI

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Quaderni della ginestra                                         n° 3, anno 2011/2
EXAMINED LIFE

Che cosa è “Examined Life”? Banalmente una successione di interviste-monologhi sul significato della vita nelle quali l’ideatrice e regista Astra Taylor ha coinvolto alcuni filosofi viventi: da un certo punto di vista è quindi un testo filosofico, un’opera collettanea. Allo stesso tempo è un documentario se non addirittura un vero e proprio film. Ma forse è impossibile nonché inutile forzare quest’opera in una particolare definizione. E’ inafferrabile non solo da un punto di vista formale ma anche nel suo significato: l’accostamento di tecniche ed ambiti (film e filosofia), normalmente alieni tra loro, eccita infatti nello spettatore frotte di riflessioni e di sensazioni che forse vanno al di là dei temi previsti dall’autrice e dai filosofi stessi; la forma immagine del cinema costituisce un ottimo terreno di coltura per la filosofia.

di ANTONIO FREDDI

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LA FORZA DELLA PAROLA FRA LE MURA DE LA CLASSE

La classe di Laurent Cantet, uscito nelle sale cinematografiche l’autunno del 2008 dopo aver conquistato la giuria del 61° Festival di Cannes meritandosi la Palma d’Oro, è basato sul romanzo Entre le mure di François Bègaudeau, interprete egli stesso del film nel ruolo del professore di francese. Con temi da far invidia a un civile, quanto utopistico, dibattito in Parlamento in materia di riforma scolastica – disagio sociale, conflittualità generazionali, differenze culturali, ruolo degli insegnanti – il film è la trasposizione sul grande schermo del ‘diario di bordo’di un anno scolastico vissuto tra le pareti di una scuola media superiore della periferia di Parigi. Protagonisti sono il professore e i suoi studenti, adolescenti  tra i 14 e i 16 anni.

di ANNA MARIA RICUCCI


 

Quaderni della ginestra                                         n° 2, anno 2011/1
IL CORRIDOIO DELLA PAURA

Presentata nel 1963 in USA, questa avvincente pellicola di Samuel Fuller narra l’esperienza di Johnny Barrett, un redattore del Daily Globe che aspira a vincere il Pulitzer. Per ottenere l’ambito premio, egli decide d’indagare su un caso d’omicidio avvenuto in un ospedale psichiatrico, nel quale rimangono rinchiusi i tre testimoni oculari del delitto. Con l’obiettivo d’introdursi nella clinica, aiutato dal suo capo redattore, da uno psicologo e dalla fidanzata Kathy, inscena d’essere affetto da schizofrenia sessuale.

di MARCO BIGATTI

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LUNACY

Abito non lontano da un ex ospedale psichiatrico, un luogo gelido anche durante la bella stagione. Sempre abbracciato da alberi dalle dita artritiche, sempre imbavagliato da bende di nebbia, fra i suoi inospitali padiglioni figure derelitte continuano a vagare lungo viali perennemente fangosi, senza requie, come in un limbo fuori dal tempo. Un vecchio, che lì lavorava e che di fronte al complesso continua ad abitare, mi disse che fra quelle anime perse riconosceva ancora alcuni degli ultimi ospiti che aveva accudito: pazzi che fuggivano da anguste celle farmacologiche per tornare quotidianamente ad aviti luoghi di prigionia. Così la pensava.

di CORRADO PIRODDI


 

Quaderni della ginestra                                         n° 1, anno 2010/1
LA TERZA GENERAZIONE

Il mondo come volontà e rappresentazione: la parola d’ordine impiegata dai terroristi protagonisti della pellicola è la chiave di lettura che permette di accedere al senso più intimo de “La Terza generazione” di Fassbinder, «commedia in sei atti» ambientata in una bigia Germania Ovest agli inizi del 1979. Titolo e periodo non sono scelti a caso: la finzione cinematografica prende le mosse laddove, nella realtà, finisce il ciclo storico del primo nucleo militare della RAF, con la morte dei fondatori Andreas Baader e Ulrike Meinhof; e comincia quello della cosiddetta “terza generazione” del gruppo armato, attiva fino al 1998. […]

di CORRADO PIRODDI

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L’ONDA

Il fascino particolare di questa pellicola tedesca, uscita in Italia quasi due anni fa, non sta tanto nel prodotto artistico in sé, quanto nel fatto di proporre, tramite il linguaggio cinematografico, la cronaca di un allucinante esperimento realmente avvenuto in California nel 1969. Un professore di storia contemporanea, Ron Jones, non sa come spiegare ai propri studenti le dinamiche sociali che hanno condotto alla formazione e ai tragici esiti dei totalitarismi del Novecento. […]

di CORRADO PIRODDI

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